Eleganza: Valore, Costo, Prezzo.

Eleganza: Valore, Costo, Prezzo.

Un tema importante da affrontare subito, parlando di abbigliamento, è quello del rapporto tra il valore, il costo ed il prezzo di ciò che si indossa.

Mi spiego meglio e sarà un articolo molto personale, con riferimenti a vita vissuta ed una rassicurazione: per vestire bene non servono immensi capitali. Intanto bisogna chiarire i tre concetti del titolo.

Valore: il valore di un oggetto è il suo “prezzo emotivo”, in gran parte soggettivo, ma con aspetti anche strettamente oggettivi. E’ collegato alla bellezza, alla sfera intangibile del “ben fatto”, “fatto con amore”, “ricco di storia o suggestioni”. Il valore di un vestito, per esempio, può essere valutato sulla bravura di chi l’ha confezionato, sulle proprietà della materia prima usata, sul taglio che è stato scelto per dargli forma. Non c’è un legame con il prezzo, ma c’è uno stretto legame con il costo.

Costo: è la somma della spesa che altri hanno sostenuto per realizzare un manufatto complesso che noi indosseremo. Comprende anni di sudore, fatica, apprendistato del sarto che ci ha messo l’ago. Include il costo vivo del materiale che è stato pettinato dopo essere stato lavorato lungo un’eterna filiera che partiva da una pecora, che mentre noi ci chiudiamo il bottone forse è ancora là che fissa il vuoto soddisfatta, su un praticello nel Cachemire, un po’ infreddolita. Insomma è l’elemento maggiormente oggettivo, ed è la variabile che incide maggiormente su quanto un uomo elegante debba spendere per vestire bene. Ma insieme al prezzo è anche condizionato fortemente da quel fenomeno moderno che non si è ancora capito bene, che alcuni chiamano “libero mercato” e concorrenza, e che ogni tanto fa capolino.

Prezzo: è il nemico dell’uomo elegante. Un nemico non di quelli da uccidere ad ogni costo, ma di quelli che si sa che sono lì per fregarti, per cui devi stare attento. Nel senso che siamo tutti abituati a spendere qualunque cifra in base a quanta acquolina ci viene in bocca per la sottile opera di convincimento di pubblicità/moda/bisogni indotti, ma se ci fermiamo e razionalizziamo, capiamo che quel “prezzo” è una sovrastruttura. Dobbiamo essere onesti, e partire sempre dal concetto di costo, ma tutto il resto si affronta solo con una certa cultura. Il delta tra costo e prezzo è quanto siamo disposti a pagare il marketing, la suggestione del capo, il nome del brand, ed è insomma la quantificazione “che gli altri danno” al valore.

Partiamo dal principio che “chi più spende meno spende“, che era un modo di dire di qualche decennio fa (cfr. mia defunta nonna), e andiamo con ordine:

• qualsiasi cosa comprata per pochi euro da Coin, Zara, Zalando ecc. può essere carina o meno, ma ha un prezzo molto basso che indica un costo altrettanto basso. Il valore a quel punto glielo diamo noi, ma non aspettiamoci che siano oggetti che ci accompagnano per la vita.

• alcuni marchi (es. Brioni) che vivono sul classico ed hanno un posizionamento consolidato, tendenzialmente non possono farsi brutte figure. Per cui la qualità è alta, costo e valore sono proporzionali e impegnativi, il prezzo fluttua a seconda delle mode e spesso si accompagna a Samantha Cristoforetti nell’esplorazione spaziale. C’è sia l’elemento industriale della struttura di larga scala che l’elemento personale della sartorializzazione. E’ un’esperienza bella, da fare qualche volta nella vita, ma se non avete inventato voi Facebook magari non sono più tanto gli anni.

• in mezzo c’è il mondo: il mondo della sartoria su misura (quelli che vai a trovare in oscuri appartamenti al terzo piano, quelli che hanno un negozietto, quelli che ti vengono direttamente a casa), il mondo dell’adattamento dei vestiti preconfezionati in modo sartoriale, il mondo dei vestiti fatti bene ma pur sempre mass-market di fascia medio-alta, che in boutique in centro paghi 1.000 e all’outlet 700. E non solo, c’è anche il mondo dei mercatini vintage, insomma dell’usato (che suggerisco soprattutto per accessori come gemelli).

• le griffe: poi c’è la moda, che un po’ è divertente, quando sfruttata e usata, ma di cui non bisogna innamorarsi. In altri tempi, il parallelo perfetto sarebbe stato con le prostitute da casa di tolleranza, ma oggi sarebbe politicamente scorretto dirlo. Qui il valore “sociale” è alto, il costo è tendenzialmente molto più basso del prezzo, ed il prezzo segue ragionamenti tutti suoi, per cui puoi pagare dettagli minimi in corda come se fossero in oro zecchino.

 

sarto giusto

Saperne un po’, di abbigliamento, significa evitare di entrare da Louis Vuitton ed uscirne (invece che con un bauletto vintage che ricordi i grandi safari che resero la pelletteria francese famosa nel mondo) che si assomiglia al tifoso standard della squadra di calcio di turno allo stadio, con cappellino a visiera tutto griffato, marsupio tutto griffato, occhialoni a specchio tutti griffati, pantaloncini corti di jeans strappati, scarpe da 300 euro fluorescenti, serramanico non griffato in tasca, normalmente fisico magro e ossuto in modo innaturale e atteggiamento un po’ esagitato. A ben guardarlo, pezzo per pezzo (tolto qualcosina preso sul “mercato nero” delle bancarelle made in China), si può fare un rapido calcolo e vedere che un completo Zegna non costa poi di più. La differenza è però più o meno quella che si vede a ruoli varianti ne “Una poltrona per due”, con Eddie Murphy.

Insomma, è una questione di gusto, volontà e – come ripetiamo sempre – cultura. Anche perché vedremo prossimamente che l’eleganza, che esteriormente si dipinge nell’abbigliamento, ha bisogno di alcune ossature interne che i vestiti non danno, ma con cui si abbinano perfettamente: si chiamano buona educazione (cavalleria e galateo a voler esagerare) e atteggiamento. Non ci perderemo troppo tempo, ma qualche cosa bisognerà pur dirla.

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