Selfie o non selfie? Il progresso tecnologico, velocissimo negli ultimi decenni, ha portato ad un nuovo fenomeno sociale, che è stato spunto per delicatissime canzoni ed importanti pubblicazioni. Si tratta del #selfie, l’autoscatto fatto col cellulare che propone una sorta di soggettiva da condividere su Facebook, Instagram, Pinterest e tutti gli altri social che vi vengono in mente.
Che sia educazione o maleducazione farsi selfie è questione controversa. Di primo acchito, semplicemente, c’è la regola dell'”ostentare = cafone“, che li escluderebbe da subito, congiuntamente con un altro principio aureo della convivenza civile: il telefono si usa per telefonare e si telefona quando non si sta facendo qualsiasi cosa che preveda una interazione (e quindi attenzione rivolta a) con il prossimo. Lo smartphone ha infilato macchina fotografica, sveglia, calcolatrice e computer all’interno di un oggetto facilmente trasportabile, e tutto ciò che ne deriva è oggetto di studi sociologici e psicologici ben più profondi di quelli che possa raccontarvi qui. Male, malissimo, prestare più attenzione al cellulare (per esempio guardandolo durante una cena) che ai vicini: significa schiettamente “preferirei essere con altri ed in un altro luogo“.
Tanto che l’hotel Byron (primo in Italia), cinque stelle a Forte dei Marmi, li ha vietati e allo stesso modo sono vietati in musei e gallerie d’arte, come la National Gallery di Londra e il Museum of Modern Art di New York.
Ma a noi non piacciono le semplificazioni e aggiungiamo una riflessione: in una società fatta di immagini, il “diario” che si teneva una volta può diventare più “smart”. E allora iniziamo con il dire che il selfie può essere anche un momento accettabile di condivisione, che però può facilmente generare “mostri”. Se per esempio, con la vostra ragazza, vi trovate in una situazione particolarmente piacevole ed esteticamente appagante, avete chiacchierato e bevuto un fresco kir royal e volete concludere l’esperienza facendovi un autoscatto da ricordare; ci ridete su, facendo una faccia buffa (la classica duckface), e non assumete posizioni plastiche che inquietino gli astanti: non ci vediamo niente di male.
Se invece incontrate un calciatore davanti ad un hotel in cui non siete mai entrati, lo aggredite per avvicinarvi, protendete il braccino per farvi il selfie e poi lo condividete subito, prima che il calciatore stesso vi corichi di botte, e ci aggiungete i tipici hashtag #nome #squadra #amiciperlapelle e simili appena vi siete ripresi dal trauma cranico, allora potete andarvi a nascondere in qualche luogo molto remoto dell’Indocina e non tornare più.
Di base, dovreste sempre analizzare due fattori: uno relativo alle intenzioni, l’altro relativo all’utilizzo. Più uno che è “l’appropriatezza a situazione e contesto“.
L’ostentazione è sempre fallimentare e fastidiosa
Abbiamo già accennato al fatto che “ostentare” sia male, sempre. Questo perché tendenzialmente se state prendendo un aperitivo al Ritz di Parigi, magari perché siete cultori e ammiratori di Hemingway e volete bere dove beveva lui il suo omonimo cocktail Martini, ed è la prima volta in vita vostra che ci entrate, “fingere” che sia un momento normale per voi, “dimostrare” al mondo social che il vostro stile di vita è quello, beh, è la diretta dimostrazione che state mentendo. Se fosse normale per voi non vi fareste un selfie, e se fosse normale soprattutto capireste che al mondo non gliene potrebbe fregar di meno. Se invece è un modo carino per riproporre la vostre citazione preferita di un autore dalla penna meravigliosa, morto suicida, allora può essere uno spunto simpatico.
Salviamo i ricordi
Se il selfie è un modo per “salvare” in memoria (esterna) un momento speciale, o un modo per raccontare qualcosa, la musica cambia. Viviamo in una società molto interconnessa e basata ormai sulla “condivisione di contenuti”. Il Galateo e le norme dell’educazione sono per definizione stessa molto conservatori, quindi si adattano alla contemporaneità con lentezza. In punta di formalismo, quindi, fotografarvi sarebbe un atteggiamento sempre e comunque sbagliato. State facendo i vip e non lo siete, non avete paparazzi che vi seguano e provvedete voi stessi. E’ un po’ come se vi metteste un papillon sgargiante e vi faceste i complimenti da soli, mentre in realtà il più delle persone attorno vi definirebbe ridicoli. Fissare un momento nel tempo, invece, è una nobile causa, per quanto vivere con leggerezza ed eleganza porti a prediligere normalmente la propria mente a dispositivi elettronici: fotografate con uno sguardo attento, metteteci un bel filtro con i sentimenti, e quell’immagine cambierà ogni volta che ci penserete ma si arricchirà ogni volta di hashtag più suggestivi e melanconici. Non siamo però dei bacchettoni ed ammettiamo che un “sutro” può rendere l’idea con molta più immediatezza.
Le perversioni visive
Come in ogni cosa ci sono poi quelli che esagerano. Basti ricordare il fiorire di wurstel con mare di sfondo che spuntano ogni estate (la soggettiva fatta alle proprie gambe in spiaggia) o le homepage di Facebook che si trasformano in libri di cucina senza ricette (le foto ai piatti quando siete finalmente andati al ristorante figo, invece che dal kebabbaro sotto casa). Sono tutti casi desolanti di “volere e non potere”. La domanda è sempre la stessa: “ma chi? chi ve l’ha chiesto?”.
Medesimo principio vale se vi accompagnate a fanciulle avvenenti con le quali scattare il selfie del cacciatore, per lasciar intuire che tra voi c’è qualcosa e che è la vostra ultima preda. Di nuovo: non ce ne frega niente e anche “complimenti, siete dei begli animali”, siamo contro l’attività venatoria fine a se stessa. Non meglio comunque il contraltare, la “coppia felice”: innumerevoli posizioni, innumerevoli ambientazioni, ma tanto dalla foto non si vede. Perché ci sono sempre e solo due facce Harmony in primo piano, possibilmente in posa imitante due lumache che si avvinghiano. Bleah: equivale a limonare lungamente in pubblico, senza discrezione, pudore, amor proprio.
Condivisione e privacy
L’ultimo fenomeno da analizzare, mentre speriamo abbiate capito che l’utilizzo del selfie deve essere molto morigerato e costituire sempre un momento ludico di condivisione con chi viene ritratto insieme a voi nel selfie, o un allegato ad un concetto che volete esprimere che possa avere un interesse per il prossimo, è quello della condivisione.
Sono aspetti molto interconnessi, visto che purtroppo di patiti del selfie che se li tengano poi tutti per loro ce ne sono veramente pochi. Ma c’è anche qui l’assurdità massima: esperti di selfie che poi tengono alla loro privacy. Anche questa è una posa che stride da tutte le parti e gronda di incoerenza e posticcio: se vi sovraesponete “mediaticamente”, con l’unico media che possa calcolarvi, quel poco di popolarità che ottenete non potete poi rifuggirlo. Anche perché vi siete mostrati smaniosi di ottenerla, per cui fate ridere.
Selfie apocalittici
C’è poi la deriva tragica del selfie. Chi di fronte a situazioni del tutto straordinarie (come uno squalo che sta masticandoti una gamba, un cassonetto in fiamme, un golpe militare nel tuo Paese e simili) invece di occuparsene, si autoritrae con non-chalance. Sono i selfie più potenti, perché di solito qualche giornale che tratta della notizia principale li riprende, così, tanto per umiliarti e sottolineare il fatto che invece di salvare vite o scappare eri lì come un cretino col cellulare in mano. Detto fatto: sono selfie che trascendono l’eventuale divisione tra persone educate e non, marcano invece la vicinanza del tuo diritto alla sopravvivenza con la necessità di estinzione (il che purtroppo, e qui tolgo l’ironia ma è importante lo sappiate, porta a tragiche conseguenze).
Selfieing alone in the toilet
Infine, un selfie che senza troppe esitazioni si può bandire, è il primo apparso sulla scena. Il protagonista normalmente è un cesso (a voi decidere se inteso come ambientazione o soggetto): lei o lui sono da soli di fronte ad uno specchio, il wc fa capolino dietro, mentre masse muscolari (o mammarie) sapientemente valorizzate dalle luci/ombre del bagno la fanno da padrone. O in alternativa outfit attillati e sgargianti perfetti per la discoteca. A questo risponde una sola domanda: “ma perché?”. Se non sto per uscire con te, questa sera, non vedo perché dovrei sapere come sei vestito… salvo che tu non sia il nuovo testimonial della “Brillantina Koatta” e allora spero ti abbiano pagato veramente bene per l’utilizzo della tua immagine. Purtroppo questo genere di selfie è molto caro ai non-eleganti ed agli ineducati, perché appaga l’ego con piogge di “like” di altrettanti contatti non-eleganti ed ineducati.
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