Dopo aver parlato di colletti arriviamo subito all’accessorio (anche se è limitante chiamarlo così) per eccellenza: la cravatta. Ammettiamolo, qualcuno la ritiene superflua e cerca di togliersela appena esce dall’ufficio, qualcun altro se ne sente strozzato, ma chiunque ami davvero l’eleganza ne capisce l’importanza, che si può leggere come “personalità” ed è quindi indispensabile.
Se infatti da queste parti siamo cultori di uno stile molto votato al classico, che quindi apprezza in larga parte completi blu o grigi e spezzati non tanto lontani come colori (salvo pantaloni “chinos” che possono assumere tinte delicate di colori variopinti) la sera, e completi a tinte anche più chiare di giorno, ma rimanendo pur sempre in una rosa cromatica piuttosto ristretta che orbita attorno ad una camicia bianca o azzurra (e tutte le varianti del caso, righe, righine ecc.), potremmo esaurire tutti i nostri consigli e le nostre analisi in brevissimo tempo.
Per l’educazione: comportati con gli altri come vorresti che loro si comportassero con te.
Per l’eleganza: comprati completi blu da un sarto che ti consigli un buon taglio e camicie bianche e vai con Dio.
Sarebbe senza dubbio un po’ limitante, perché avremmo città invase da eserciti di cloni, un po’ come la Tokyo di certi fumetti. E invece, per fortuna, lo stile maschile ha alcune piccole valvole di sfogo che aprono orizzonti infiniti. La cravatta è una di queste (l’altro mio adorato è il settore “gemelli”) e merita un post dedicato alla sua gloriosa storia, che preceda future dissertazioni su collezionismi vari, gusti diversi e la divisione del mondo professionale in tre categorie legate alla filosofia di due delle più prestigiose firme del settore. Ma questa è una mia teoria psicologica, che divide l’universo in chi ama Hermès, chi ama Marinella, e tutti gli altri. Ne riparleremo. E in effetti mentre scrivo mi vengono in mente tanti approfondimenti: sui nodi, sui tessuti, sui “consigli per gli acquisti”, su come distinguere una cravatta di qualità da una ciofeca. Avremo da fare, e se avete consigli a riguardo siete i benvenuti.
Parlare dell’evoluzione della cravatta significa osservarne le dimensioni (da cui prevalentemente derivano i nodi) in quanto a larghezza: negli anni ’60 di 8 cm, negli anni ’70 sotto i 7 cm, negli anni ’80 (stupendi per tutto tranne che per l’abbigliamento) sopra i 9 cm ed oggi verso uno smagrimento modaiolo sempre più eccessivo, che tocca i 5 cm. L’uomo elegante cercherà sempre l’equilibrio e, a seconda del suo gusto (e della sua curva della felicità = pancia), una proporzione piacevole.
L’antichità
La famosa Colonna di Traiano, eretta nel 113 d.C. in onore delle sue vittorie sui Daci, rappresenta legionari che già nel II secolo indossavano un pezzo di stoffa attorno al collo (prima “faucale” poi “focale”, da “faux: gola”). Far risalire ad allora l’origine della cravatta è suggestivo, ma realistico quanto farsi comporre un poema epico ad hoc per diffondere la convinzione di avere origini divine: un vezzo che pochi gentlemen possono permettersi.
Il debutto
Dobbiamo piuttosto spostarci al regno dell’inglese Carlo II per vedere fazzoletti da collo a punta preziosissimi, bisnonni delle stoffe che attualmente ci impreziosiscono un completo: si parla di accessori solo per una élite che poteva permettersi di spendere 20 sterline nel 1660 (dieci volte una rendita annua di buon livello) per abbellire il proprio abbigliamento.
Altra “dottrina”, negli stessi anni, fa invece risalire il primo utilizzo della cravatta a Luigi XIV. L’etimologia in questo caso parte dalla parola francese “cravate”, ovvero croato (da “hrvat”) oppure dalla parola turca “kurbac” (e ungherese “korbacs”) che indica oggetti lunghi come fruste o scudiscio. “Cravache” vuol dire proprio frusta, in francese e “cravate” già nel XV secolo definiva un pezzo di stoffa stretto e lungo.
Comunque sia, tradizione vuole che Luigi XIV nel 1686 creò un reggimento di cavalleria leggera di Croati (cravates), che erano usi tenersi la striscia di lino bianco al collo (e che stava anche bene visto che erano agghindati più o meno come gli ussari ungeresi, con dolman rosso con alamari e colbacco di pelo). Il reggimento venne soprannominato “Real Cravatta” e funzionò così bene che il Re Sole copiò fieramente l’uso di impreziosirsi il collo con una striscia bianca, costringendo poi democraticamente tutta la sua corte a fare lo stesso.
L’evoluzione
E facendo poi un salto di qualche decennio, spostandoci in America, troviamo un pugile (James Belcher) che rese popolare nel 1700 l’uso di annodarsi a fiocco una bandana attorno al collo.
Ma l’eleganza, tra rivoluzioni varie (americana, francese, industriale), ha il suo apice nel mondo della cultura con l’epoca dei Dandy, nel XIX secolo. Semplificando al massimo, e riportando come base del discorso la filosofia del primo grande stilista della storia, lord George Bryan Brummel, ricordiamo che è da evitare qualsiasi esagerazione (lo dico sempre anch’io!) e che l’eleganza non va mai a braccetto con la ridicolaggine. Aveva uno stile sobrio ed un look per l’epoca molto “personale”: frac blu, panciotto, pantaloni beige, stivali neri e fazzoletto da collo bianco. Per dire e per rassicurare chi non è avvezzo a farsi i nodi più complicati (mi metto in prima fila): se sbagliava il nodo al primo colpo, lord Brummel non ci riprovava. Cambiava fazzoletto prendendone un altro inamidato e candido, perché le prime pieghe erano già sufficienti a rovinargli l’aspetto finale e sulla vera eleganza non valgono i tentativi.
Di lì al 25 giugno 1880 il passo non è stato breve, ma neanche discontinuo. Il 1880 è l’anno in cui i membri dell’Exeter College di Oxford si annodarono attorno al collo i nastri che usavano per i capelli, e per l’estate ordinarono ad un sarto la produzione di tali nastri coi colori del proprio club: una moda che si diffuse rapidamente negli altri college e club d’Inghilterra.
Altro anno fondamentale è il 1924: Jesse Langsdorf a New York innova la produzione della cravatta con un brevetto che ancora oggi viene utilizzato per le cravatte di alta qualità: il tessuto viene tagliato con un angolo di 45° rispetto al drittofilo, e vengono impiegate tre strisce di seta da cucire successivamente.
E siamo ad oggi, con tanti bei manuali (scritti tra gli altri da Honoré de Balzac) che un tempo erano utili a distinguere le persone eleganti dalle persone sciatte (in altre parole: i nobili dai borghesi) a dirci che non bisognerebbe usare l’ultimo accessorio che dona all’uomo colore, personalità, possibilità di esprimersi. Insomma, se vi vedo con un completo e senza cravatta mi rendo conto che non c’è proprio più speranza: anche se fa caldo, anche se non avete voglia.
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