Ci sono cose difficilmente tollerabili, nel quieto vivere di una persona tranquilla e normale che cerca di godersi la propria vita: sono i bambini altrui, soprattutto “nei tavoli vicini”, e principalmente due ulteriori fenomeni ad essi legati. Questo articolo è una pura e semplice invettiva, di quelle fatte perché chi vive gli stessi traumi possa sentirsi meno solo, non per dare indicazioni o suggerire soluzioni. Se lo leggerà un genitore, potrà trovarlo superficiale o manieristico (la mia supplica è che lo comprenda e prenda provvedimenti – no, non il Ritalin, semplicemente un po’ di physique du rôle), ma chiunque altro capirà esattamente cosa intendo.
Vi è mai successo di andare a cena, tranquilli tranquilli, ed aver anche messo in conto di dover affrontare un ambiente un po’ chiassoso, di quelli in cui si somma il vociare di tanti commensali e l’allegria di un po’ troppi tavoli? Domanda retorica: certo che sì.
E vi è mai successo, una volta in attesa di essere serviti, di trovarvi all’improvviso investiti da un quantitativo di decibel da rave mittel-europeo di techno, infossare un po’ il collo socchiudendo gli occhi, e rendervi conto con orrore che nella tavolata dietro la vostra ci sono loro, i fantomatici bambini esaltati? Anche questa è una domanda retorica perché è successo a tutti. E’ una categoria particolare di bambini, coltivata da genitori di tendenze steineriane o semplicemente cafoni già alla generazione precedente, che lasciano ai più piccoli il compito di esternare tutta la pochezza in quanto ad educazione di coloro che, accoppiandosi, hanno dato un ulteriore colpo al giudizio complessivo sull’umanità.
Il problema è che questa forma di malcostume (di fronte alla quale per altro si è totalmente impotenti) è sempre più diffusa, vuoi per l’imbarbarimento complessivo dei costumi, vuoi perché sembra impossibile il concetto di educare i propri figli già in giovane età oppure, orrore solo al pensiero, limitare le uscite quando sono poco più di neonati con corde vocali terribilmente sviluppate, date loro dalla natura per proteggerli da predatori o morte di stenti, in contesti ormai del tutto superati ed improbabili.
Eppure io mi ricordo quando quei rari lunghi pranzi cui presenziavo da piccolo erano una sorta di Limbo, un non-tempo in cui tra noia e bulimia non ci si poteva alzare da tavola, non si poteva urlare, non si poteva correre e non si potevano lanciare oggetti: companatico o posate che fossero. I miei genitori erano gentilissimi, non erano violenti, non mi torturavano, eppure avevano ottenuto da me (e così molti altri genitori), che in quelle occasioni rimanessi statico, in attesa. Cos’è successo poi? Quand’è che il sottile supplizio della tavolata ha visto invertirsi i ruoli di vittima e carnefice, rendendo i bambini terribili punizioni divine per tutti gli astanti, invece di lasciarli lì ad imparare come si sta al mondo pur a costo di qualche ora di assoluta noia? E soprattutto: com’è possibile che i loro genitori, quando sono scalmanati e più simili a scimmie urlatrici che a cuccioli di uomo, non si rendano conto del mostruoso impatto che essi hanno sull’ambiente?
Purtroppo, la diffusione di tablet, iPhone con mille videogiochi ed il ruolo (dis)educativo di televisione ed altri elettrodomestici ipnotici, sono tutti elementi che hanno impoverito la necessità di dare un imprinting forte ai cuccioli di uomo. Essi non sono più visti come creature che un giorno cresceranno in un contesto sociale complesso, ma come individui che per qualche oscura ragione avranno più diritti degli altri e dovranno, inevitabilmente, prevaricare il prossimo con la loro furbizia e con la loro spumeggiante individualità. Poco importa se, vedendoli infilarsi sotto il mio tavolo, posso chiaramente vederli coinvolti in risse in una discoteca una dozzina d’anni dopo, e poi ad alzare il dito medio roboando bestemmie dal finestrino dell’auto, aggiungendo ancora qualche lustro. Loro sono i predestinati a controllare il nostro mondo, con buona pace della digestione rovinata insieme ad una serata al ristorante.
Ma sempre rimanendo sui bambini, che tra le righe qui suggerisco di istruire (per quei pochi che vorranno capirlo) al comportamento in pubblico, ci sono due fenomeni ancora più aberranti rispetto al mero stato brado. Il primo, direttamente relazionato, è la masticazione. Effettivamente sembra una finezza: se vedi un cinquenne comportarsi come Attila tra i tavoli, l’ultima cosa di cui ti stupisci è che nessuno gli abbia insegnato a masticare con la bocca chiusa. Tanto più se poi guardi l’unto e bisunto padre e ti accorgi che lo fa anche lui: inserisce grossi quantitativi di qualsiasi cibo in bocca e poi muove quella orribile mandibola contro quell’orribile mascella lasciandoti vedere tutto. E in quel momento ti senti esattamente come il cibo che sta trasformando in bolo, masticato e schiacciato dall’orrenda visione. A quel punto come spiegare al bambino che si è fermato un attimo per inserire nel suo apparato digerente della pasta al pomodoro (perché c’è sempre di mezzo della pasta al pomodoro, di qualsiasi natura sia il ristorante in cui vi trovate?), che il sugo non dovrebbe essere equamente distribuito su tutta la sua parte frontale, dalla fronte all’ombelico, oltre che nel piatto?
Il secondo è un tema più ampio ed è un po’ più in linea con lo spirito di questo blog: tratta dell’abbigliamento e si riferisce a particolari occasioni. I bambini sono cuccioli, in molte lingue vengono addirittura indicati da una parola neutra. Ciò dovrebbe in pratica suggerire che non sono adulti in miniatura, non sono nani, non sono elfi, non sono creature mitologiche né Benjamin Button. Per questo non pretendiamo da loro che parlino di Kant, a tavola, che possano anche distrarsi, ma proprio per questo immaginiamo che debbano avere un dress-code differente da quello dei genitori. Che – in teoria – sono adulti. Il che significa niente minigonne di jeans, niente scimmiottature di outfit da calciatore, niente vestiari ridicoli. Di nuovo, ci troviamo di fronte all’incubo partorito dalle menti di genitori che invece di concentrarsi a non ripetere gli errori dei propri, o forse per ribellarsi agli insegnamenti ricevuti nella convinzione che tanto oggi i loro figli – gli unici che abbiano diritto ad esistere – sono delle star in miniatura, concentrano in pochi centimetri di prole tutta la loro… indefinibile… primordiale… non saprei neanche come definirla, ma metaforicamente fa sanguinare gli occhi al buon gusto.
E così vengono fuori anche i cinquenni in doppiopetto azzurro alle cerimonie. E su questo, vi chiedo un minuto di silenzio.
2 Comments
Pur essendo genitore posso dirti che ritengo le tue osservazioni quasi tutte condivisibili. Le mini veline ed i calciatori in erba suscitano tanta pena: l’infanzia e’ già breve e voler scimmiottare abbigliamento e atteggiamenti da adulti e’ poco sensato.
portare i più piccoli al ristorante e’ sempre complicato e personalmente quando posso ( e sempre nelle occasioni formali) preferisco evitare affidando l’amato pargoletto alle amorevoli cure delle nonne. Talvolta però soprattutto nelle occasioni alle quali sono presenti altri piccoli coetanei e con un kit di sopravvivenza (seggiolino da tavolo, libricini e giochi vari) ho provato l’esperienza : bimbo al ristorante. Tentando di non lasciare la creaturina allo stato brado volendo evitare che i commessali pensino sia stata educata in stile Libro della Giungla, la serata e’ ben poco rilassante. In alcune circostanze pur impegnandosi il pianto del piccino infastidito dal dover attendere la propria cena e dal seggiolino diventa inevitabile, così come diventa obbligo alzarsi e portare il pargolo a fare una piccola passeggiata che lo faccia distrarre.
Ciao Eli, grazie del commento! Detto in tutta onestà, mi riferisco in particolar modo ai bambini un po’ più grandi. Dei poco più che neonati (non sono molto pratico di queste cose) si capisce che, la volta che sono in giro, siano incontrollabili: e a quel punto che emettano strilli o no dipende dal loro carattere e da quanto i genitori si concentrino ogni secondo su di loro. Non c’è maleducazione in un genitore che si alza per cullare un po’ il figlio piccolo e tranquillizzarlo… c’è, per assurdo, in un genitore che mentre il figlio strilla se ne frega altamente e lo lascia dall’altra parte del tavolo a strillare. Ma sinceramente l’ho visto capitare molto poco.
Cosa vedo spesso sono invece i bambini già in grado di intendere e di volere lasciati lì ad accopparsi tra di loro. Devono essere necessariamente numerosi, devono essere (spesso) vestiti da mini adulti (condivido quel che commenti: l’infanzia è già breve, sempre più breve, lasciamola stare lì), ma nessuno sembra poterli minimamente rallentare. Rispondono male e, nel combattersi, ti fanno finire in mezzo. Ovviamente non ci si può permettere di dire niente ai genitori, che rispondono anche peggio.
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