Un neologismo non è affar da blogger. Eppure, con la veemenza di quelle idee che vogliono nascere anche senza che si dia loro spazio, da ieri penso a questa parola, che per me ha un significato chiarissimo. Anzi, è prima nato ovviamente il significato, ed ha poi trovato questa forma approssimativa.
L’entropia, o legge del Caos, è un principio applicato in vari ambiti delle scienze, arrivando fino all’informazione. E’ più o meno quel qualcosa per cui se è pur vero che “nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, si inserisce il disordine in qualsiasi sistema. E la caducità: ovvero il fatto che ad esempio, materia ed energia ad ogni trasformazione perdono qualcosa e diminuiscono. E’ la malattia di cui è malato e di cui morirà l’Universo. E’ il motivo per cui l’inchiostro si scioglie in acqua, in modo imprevedibile, o per cui i fiocchi di neve non sono mai uguali.
L’esperienza è il momento, o l’insieme di momenti, che formano dei sistemi chiusi per qualche motivo nella nostra memoria. E’ quindi un “episodio” che ci arricchisce, positivamente o negativamente, portando con sé una serie di emozioni, suggestioni, insegnamenti, ricordi. Non è un film, non è lineare, è un insieme di tutto ciò che i nostri sensi riescono a captare e la nostra mente ad elaborare, fissando nel flusso temporale lo spazio di un’isoletta a cui diamo un nome senza lettere ed un’identità senza volto.
L’entrienza è il mescolamento delle due cose. O meglio è quella sensazione che si prova quando si vive un’esperienza con gli occhi di quando la si è vissuta la prima volta e non ci si poteva immaginare in quale momento, in quale modo, per quali motivi la si sarebbe rivissuta.
Faccio un esempio: ieri ho preso un treno da Ventimiglia per Torino, che avevo preso da piccolissimo con mio papà, e che avevo lasciato nella memoria sepolto. Era stato uno dei nostri rarissimi viaggetti, ed era su una linea ferroviaria suggestiva che passa il Tenda in alto, tra le vallate che dal mare arrivano a Limone e poi ridiscendono verso Cuneo, attraversando caratteristici borghi medievali francesi. Ieri l’ho rivisto con gli occhi di quando avevo forse sei anni, e mi sono immedesimato nel me stesso di allora, che con sguardo sognante guardavo boschi e dirupi e mai mi sarei immaginato me stesso, di nuovo lì, in condizioni tanto diverse tutti quegli anni dopo. L’entrienza è quindi un’esperienza retroattiva, una sorta di déjà-vu al contrario: una proiezione di se stessi in un passato più o meno remoto, ma comunque chiuso, in un’esperienza definita e perfetta nella sua puntualità spazio temporale, che la muta trasformandola in un punto di osservazione terzo rispetto al presente, da cui vedersi, valutarsi, guardarsi con la nostalgia del tempo che passa.
E come i déjà-vu, l’entrienza crea un senso di malinconia che profuma di caducità e che pone troppi interrogativi perché la nostra piccola mente umana possa capirli. Forse anche quella sottile tristezza che vena i momenti più felici, che riguarda la loro non ripetibilità e l’impossibilità ad estenderli all’infinito, altro non è che un pilastro di un ponte gettato verso il futuro: non ci è possibile vedere dall’altra parte, ma l’altra parte è proprio il momento futuro in cui si rivivrà la stessa esperienza, cambiata indelebilmente dall’entropia, e ci si potrà riflettere così intensamente indietro da rivedersi in avanti specchiati.
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